Questo spettacolo è un omaggio a chi non si è mai arreso, a chi i 20 anni se li porta dentro, nel cuore da sempre, a chi li deve ancora fare, a chi non è ancora nato, a chi se n'è andato troppo presto per non essersi tirato indietro, a chi ci ha regalato un mondo per cui vale la pena lottare.
“l’unica battaglia che si perde è quella che si abbandona” (le madri di Plaza de Mayo
Qualcosa di significativo accadde nei giorni di luglio del duemilauno: una marea di persone di diversa età, provenienza e storie invase le strade di Genova. Erano gli anni dei Social Forum, di quello che venne definito il popolo di Seattle, era tutta gente che sentivano profondamente di essere cittadini del mondo e che credevano che la libertà fosse un diritto di nascita e non di nazionalità. In quel luglio una generazione si scontrò contro il muro di una nuova repressione, si consumò “la più grande sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale” (Amnesty International), ma i media riportarono i fatti in modo differente. I fantasmi del passato tornarono e il dolore non andò più via. Nel 2002 sentimmo la necessità di raccontare ad altri quello che avevamo vissuto a Genova, dentro di noi e fuori. Adesso dopo 19 anni sentiamo la necessità di ricordare quello che è successo, in particolare di come furono trattati i manifestanti, ma non solo. Oggi raccontiamo quei giorni con una ballata metropolitana, utilizzando un linguaggio urbano che attinge all’antica arte del Cunto, mischiando antico e contemporaneo, cercando una lingua universale che parli col suono più che col significato. È un racconto personale eppure collettivo allo stesso momento. E’ il punto di vista del cielo che guarda la folla colorata, i suoni, le danze, i canti, le speranze del mondo che si incontrano in un unico cammino. Poi di colpo, come in una brutta fiaba, tutto sale verso l’alto come il fumo nero dei lacrimogeni, le urla di paura, gli schizzi di sangue, la rabbia che spacca il petto, le fughe per le scalinate … e dopo ore ecco il fischio del treno che riparte per andar via lasciando un pezzo di ognuno li tra quelle strade, sotto quel cielo. Il treno come il tempo non si volge indietro, è un respiro affannato, è una voglia mai doma di libertà che attraversa tutti questi anni per chiedersi ancora il senso di questo viaggio, quello passato e quello da fare ancora. Intanto ecco una stazione, quella dei 20 anni in cui fermarsi per far salire altri passaggieri e proseguire ancora una volta insieme per continuare il viaggio verso la próxima estación: Otro Mundo es posible
"E' proprio attraverso il viaggio - mentale o reale che sia, interiore o avventuroso- che ogni generazione costruisce la propria memoria e, a ben guardare anche la propria leggenda" (Pier Vittorio Tondelli)