Lo spettacolo è un ciclo di racconti ispirati alla letteratura orale dei paesini alle pendici del Mongibello (antico
nome dell'Etna), che narrano cosa vuol dire per uomini e donne vivere in questo luogo in cui per secoli il ventre
della terra ha vomitato fuoco e leggende che sono diventate rocce scure. Il nero deserto lavico, dove nulla di
umano sopravvive, confina con la natura più selvaggia e variegata che nutre la gente di ricchezza e mistero.
Di eruzione in eruzione la roccia si è alzata imponente sul mare azzurro dell'isola verso il cielo fino a ingoiarne le
creature. I vulcani sono gli ultimi posti di resistenza della terra rispetto all'uomo, in cui la natura può uomo, in
cui la natura può affermarsi senza esserne modificata o senza subire lo snaturamento che gli esseri umani
mettono in atto per adattare l'ambiente alle proprie esigenze, troppo spesso senza rispetto alcuno per l'assetto
naturale delle cose. Ai piedi di un vulcano l'uomo non può modificare nulla, può solo accettarne la potenza e
adattarsi alla precarietà dettata da improvvisi risvegli, eruzioni, esplosioni e riuoti. Questo legame per forza di
cose diventa simbiosi e muta semplici uomini in esseri soprannaturali nel bene e nel male: le ragazze diventano
creature bellissime e i ragazzi carusi incantevoli, mentre maghi, indovini, suore, preti, nobili sono esseri al
servizio di Cifaro (Lucifero) o di Dio. Così nascono miti e leggende nei paesini alle pendici del vulcano più
grande e più attivo d'Europa: l'Etna, ritenuto per secoli la porta per l'aldilà (solo di recente è diventata la porta
per l'inferno). Le vicende dei personaggi vengono narrate at-traverso l'arte del Cunto siciliano, con fiato di
fuoco e respiro di zolfo, in uno scenario lunare di pietre laviche, castagni e querce secolari all'ombra della
"Muntagna" che decide, "brama rancura", si risveglia, distrugge, “ abbrucia ” e poi s'ammutolisce.